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Indonesia
Capitale: Jakarta
Popolazione: 237,4 milioni di abitanti (2011)
L’Indonesia forma il più grande arcipelago del mondo (ufficialmente 17.508 isole di cui 6.000 abitate).
PIL: 847,4 miliardi di dollari (2011)
Religioni: Musulmani (87,2%), Cristiani (9,6%), Induisti (1,9%), Buddisti (1%)
Lingue ufficiali: Bahasa Indonesia, Giavanese
Moneta: Rupia indonesiana
Fuso orario: Zona occidentale, 7 ore avanti rispetto all’orario del meridiano di Greenwich; Zona centrale, 8 ore avanti rispetto all’orario del meridiano di Greenwich; Zona orientale, 9 ore avanti rispetto all’orario del meridiano di Greenwich. Rispetto all’Italia bisogna sempre scalare 1 ora da quelle indicate nelle varie zone.
Prefisso per l'Italia: 0039
Prefisso dall’Italia: 0062 (21 per Jakarta). Se da un telefono fisso si chiama un numero della città nella quale ci si trova, non occorre digitare il prefisso, mentre occorre digitarlo se si chiama da un cellulare (021 per Jakarta).
Clima: Situata all'equatore, l'Indonesia ha un clima caldo umido con temperature medie di circa 28°C tutto l'anno.
Il paese ha adottato il Carnet ATA il 15 maggio 2015.
I recenti sviluppi internazionali, con le profonde trasformazioni dovute alla crisi economico–finanziaria, hanno messo in risalto il ruolo del Sud Est asiatico come nuovo protagonista nello scenario economico mondiale.
In particolare, l’Indonesia, membro principale dell’ASEAN, è un mercato di sbocco ad alto potenziale, con livelli di crescita sostenuti, una popolazione giovane e numerosa di 250 milioni di persone – 4° paese al mondo dopo Cina, USA, India - e condizioni politiche favorevoli.
Tutte caratteristiche che, unite al progressivo aumento dei redditi pro capite, all’aumento della classe media e dei relativi consumi, alle ingenti risorse minerarie e ai progressi economici compiuti nel recente passato, fanno rientrare oggi l’Indonesia nella nuova categoria dei mercati emergenti “avanzati “che hanno registrato le migliori performance negli ultimi anni.
Nell’ultimo decennio l’Indonesia ha mantenuto un tasso di crescita del PIL pari (in media) al 5,2% annuo. Tra i 18 maggiori Paesi del mondo, solo la Cina e l’India hanno fatto meglio. Se, come tutto fa pensare, questo trend continuerà anche nei prossimi anni, nel 2030 l’Indonesia sarà la settima potenza mondiale davanti anche a Paesi come la Germania o il Regno Unito, superata solo da Cina, Usa, India, Giappone, Brasile e Russia. Non solo, ma l’aspetto importante è che questa crescita non è dovuto solo all’aumento della popolazione. Anzi, il 60% è imputabile a una crescita di produttività.
La crescita del Paese è trainata dai consumi. Si tratta di un importante punto di forza in quanto riduce la dipendenza del Paese dall’andamento della congiuntura mondiale.
Nella classifica del World Economic Forum (Banca Mondiale) l’Indonesia è “salita” dall’89esimo al 25esimo posto. Ormai supera Paesi come Brasile, India, Thailandia, Malaysia. L’aumento della produttività del lavoro ha contribuito per oltre il 60% alla crescita nel corso degli ultimi 20 anni. La forza lavoro del Paese ammonta a 55 milioni di persone. E’ mediamente più giovane (28 anni) rispetto alla Cina (35 anni), i livelli di turnover sono decisamente più bassi e anche il costo è nettamente inferiore.
BARRIERE TARIFFARIE
La politica di importazione del Paese è relativamente aperta. I diritti doganali come gli ostacoli non tariffari sono in corso di riduzione. Tuttavia alcune recenti misure rendono più difficile l’accesso al mercato indonesiano, come la presenza di un sistema di licenze automatiche e licenze di importazione e controllo prima della spedizione per diversi prodotti (alimentari, tessili, ecc.) il cui mantenimento è previsto fino al 31 dicembre 2015. Da notare che il governo al momento attuale sta portando avanti la modernizzazione delle procedure doganali.
L’Indonesia ha applicato per lungo tempo una politica protezionista in materia di commercio estero, ma la situazione sta cambiando a seguito degli obblighi assunti nel contesto di accordi internazionali con particolare riguardo alla World Trade Organisation (di cui l’Indonesia è membro dal 1° gennaio 1995). Di conseguenza anche i dazi sono stati ridotti e attualmente, per provenienze dai Paesi UE che non beneficiano di alcun regime privilegiato, variano dal 5 al 30% a seconda dei beni. I prodotti di lusso però possono essere colpiti da un’imposta speciale (Lst) che si aggiunge e che può variare dal 10% al 75%. Sono diverse le categorie merceologiche coinvolte: auto, yacht, gioielli, profumi, articoli sportivi, apparecchiature elettroniche, calzature, mobili, cristalleria ecc. All’interno di una stessa categoria peraltro, l’imposta è applicata con criteri differenti a seconda del valore e delle caratteristiche.
I dazi di fascia bassa sono invece applicati ai macchinari e in genere ai materiali e semilavorati che non sono prodotti localmente o che sono disponibili in quantità insufficiente. L’importazione di attrezzature e macchinari può essere oggetto di esenzione (dazi e IVA) anche nel contesto di incentivi specifici concessi dalle Autorità locali per iniziative di sviluppo in settori diversi inclusi: turismo, attività minerarie agricole, sanità, scuola e formazione, attività manifatturiere strategiche, opere infrastrutturali. La lista di queste attività e i criteri di applicazione sono aggiornati ogni anno. Rientrano invece nelle fasce tariffarie più alte i prodotti che fanno concorrenza all’industria locale (abbigliamento, ecc.) tranne le rilevanti eccezioni derivanti dagli accordi di libero scambio in cui l’Indonesia è coinvolta. Considerata la complessità del sistema è opportuno, per le aziende interessate a entrare sul mercato, il ricorso alla consulenza di esperti doganali.
L’imposizione tariffaria indonesiana si basa infatti su tre differenti livelli:
- dazi all’importazione;
- tassa di lusso;
- IVA.
In particolare, il nuovo emendamento alla legge sulla tassazione indiretta del settembre 2009 prevede che, a partire da aprile 2010, vi possano essere aumenti del livello massimo della tassa di lusso, il cui tetto passerà dall’attuale 75% al 200%. Il motivo addotto dal Governo – controllare il flusso in entrata dei beni di lusso – in realtà appare poco veritiero, data l’estensione dell’applicazione della tassa di lusso su pressoché tutti i beni importati.
Sotto il profilo del livello medio delle tariffe all’importazione, il Paese ha fatto registrare un trend in diminuzione negli ultimi anni: la media delle tariffe all’importazione è scesa dal 9,2% nel 1998 all’attuale 7,1%.
Sul piano dei rapporti commerciali con l’Italia, tra le barriere tariffarie più significative per le nostre esportazioni si segnalano quelle su vino e alcoolici. In particolare il vino era gravato fino a fine marzo 2010, da una altissima tassazione, composta dal dazio all’importazione (150%) e tassa di lusso (40-150% ad valorem). Inoltre, il monopolio nell’importazione di vini era affidato alla società statale PT Sarinah e ha funzionato a singhiozzo, non ha impedendo il contrabbando su larga scala, tant’è che dal 1 aprile 2010 è stato revocato.
Dal 1° aprile il nuovo regime di tassazione sugli alcoolici prevede:
- l’abolizione della tassa di lusso, compensata da un forte rialzo dell’accisa, di circa il 200-300% a seconda del contenuto alcolico per le tre categorie istituite dal Ministero delle Finanze indonesiano: <5%; 5-20%; >20%. Inoltre cambia anche la base per l’applicazione dell’accisa, non più ad valorem (che dava adito a fenomeni di sotto-fatturazione degli importi) bensì volumetrica, per litro.
- La tassa di importazione rimane com’era prima, ovvero 150% ad valorem.
Sulle automobili grava un dazio che può arrivare al 60%, più il 10% di IVA e un ulteriore tassa sui beni di lusso che può arrivare al 75%.
L’IVA è pari in media al 10% ma sono esenti diverse categorie di beni strumentali importati. Particolari esenzioni e agevolazioni sull’IVA (e sui dazi) sono previste per le società con attività prevalentemente orientate all’export, che operano in regime di zona franca (KB) o di traffico di perfezionamento passivo (Kite: Kemudahan Impor Tujuan Ekspor) o che sono insediate nelle tre Free Trade Zones di Batam, Bintan e Karimun, tutte nelle arcipelago delle Riau vicino a Singapore. Esenti da IVA anche numerosi servizi (es leasing, attività mediche, di formazione ecc). In cambio altre attività (soprattutto commerciali turistiche) sono sottoposte a tassazione locale, in genere nell’ordine del 10%. Su alcuni beni di lusso (dai profumi alle auto e moto di grossa cilindrata) è prelevata una tassa sulle vendite che può variare dal 10% al 75%. Da mettere in conto anche la tassa sugli immobili pari allo 0,5% del valore catastale equivalente in media al 40% del valore di mercato (ma i parametri possono subire consistenti variazioni). I redditi individuali, a partire da 15,8 milioni di rupie annue (1.780 dollari) sono sottoposti a tassazione progressiva che va da un minimo del 5% a un massimo del 30% per la quota di reddito che supera 500milioni di rupie (54mila dollari).
BARRIERE NON TARIFFARIE
A partire dal 1999, il governo ha iniziato a ridurre il numero di prodotti soggetti a restrizioni alle importazioni e a regimi di speciali licenze. I principali settori soggetti a tali normative sono: agricoltura, prodotti alimentari, combustibili, prodotti chimici, prodotti farmaceutici, tessile, metalli di base, elettronica, settore automobilistico.
Le restrizioni trovano in parte origine nei privilegi di natura monopolistica di cui godono le grandi imprese statali e nelle complesse e lunghe procedure di concessione delle relative approvazioni a favore degli esportatori stranieri di tali prodotti.
Tra le barriere non tariffarie merita di essere segnalato il sistema doganale. Chi importa è soggetto a pesanti adempimenti burocratici, tra cui da ultimo l’obbligo di pre-ispezione della merce nel Paese di partenza.
Di fronte alla crisi economica internazionale, l’Indonesia ha altresì adottato ulteriori misure per difendere l’industria nazionale: il Ministro del Commercio Pangestu ha varato un regolamento per limitare la quantità di importazioni internazionali per 5 tipologie di prodotti (alimentari, bibite, tessile, calzature, elettronica, giocattoli) e autorizzare il loro arrivo in soli sei punti di entrata, provocando un evidente congestionamento delle dogane.
Dal 1° aprile 2009 un nuovo regolamento frena le importazioni di acciaio (reg. 8/2009), mentre un altro decreto (5/2008) pone l’obbligo per le imprese esportatrici di effettuare una pre-ispezione del cargo prima dell’arrivo in Indonesia. Si constata che questo genere di regolamenti restrittivi hanno subito una rapida proliferazione nell’ultimo anno.
Un ulteriore esempio di protezionismo è dato dalla nuova legge sulle miniere, duramente contestata dalle associazioni dell’industria mineraria. La norma contestata prevede la frammentazione di una licenza unica per l’intero processo industriale – dall’esplorazione all’estrazione – in molteplici permessi per ogni singola fase. Si teme che l’aumento delle regolamentazioni possa scoraggiare gli investimenti delle grandi multinazionali – l’anglo-australiana BHP Billinton ha già cancellato alcuni progetti – e deprimere un settore dal potenziale immenso – l’Indonesia è tra i maggiori produttori al mondo di risorse minerarie. Il governo, tuttavia, evidenzia come il suo intento sia quello di riempire il vuoto legislativo creato dall’introduzione dell’autonomia locale a partire dal 2001. La legge sarebbe dunque un tentativo di introdurre regole certe e uguali per tutti, ed armonizzare possibili contrasti amministrativi tra diversi livelli istituzionali.
Un ulteriore esempio di protezionismo è dato dalla nuova legge sulle miniere, duramente contestata dalle associazioni dell’industria mineraria. La norma contestata prevede la frammentazione di una licenza unica per l’intero processo industriale – dall’esplorazione all’estrazione – in molteplici permessi per ogni singola fase. Si teme che l’aumento delle regolamentazioni possa scoraggiare gli investimenti delle grandi multinazionali – l’anglo-australiana BHP Billinton ha già cancellato alcuni progetti – e deprimere un settore dal potenziale immenso – l’Indonesia è tra i maggiori produttori al mondo di risorse minerarie. Il governo, tuttavia, evidenzia come il suo intento sia quello di riempire il vuoto legislativo creato dall’introduzione dell’autonomia locale a partire dal 2001. La legge sarebbe dunque un tentativo di introdurre regole certe e uguali per tutti, ed armonizzare possibili contrasti amministrativi tra diversi livelli istituzionali.
Si possono annoverare tra le barriere non tariffarie anche le onerose regolamentazioni tecniche che colpiscono in particolare il settore agroalimentare.
Ad esempio, si segnalano i decreti del Ministero dell’Agricoltura indonesiano che regolano l’importazione di carni e derivati. Si tratta di un sistema autorizzativo a due livelli, Paese esportatore e stabilimento, che richiede la verifica dei servizi veterinari pubblici, prima sulla base di un questionario, seguito successivamente da un’ispezione diretta degli stessi, nonché di tutti i singoli produttori interessati all’esportazione, da parte dello staff veterinario del Ministero dell’Agricoltura indonesiano.
In sostanza, il mercato indonesiano delle carni appare dominato dalle esportazioni australiane, anche se un segnale positivo può essere la recente apertura alle carni provenienti dall’Irlanda (ottobre 2009).
Ottenuta l’autorizzazione Paese e stabilimento produttivo, segue l’ulteriore obbligo di ottenere la certificazione halal, sempre per l’importazione di carni e prodotti derivati, ex decreto del Ministero dell’Agricoltura indonesiano n. 20 del 2 aprile 2009. Ovviamente risulta esclusa la carne di porco, per definizione non halal.
Il decreto dispone che il certificato debba essere emesso dal MUI (Majelis Ulama Indonesia, Indonesian Council of Ulama) o da enti stranieri a ciò preposti approvati dal MUI (solo se si tratta di materie prime, in quanto i beni finali destinati alla vendita diretta ai consumatori necessitano in ogni caso del certificato MUI).
Per l’Europa, la lista di riconoscimento del MUI include solo 3 enti: 2 in Olanda (Halal Feed and Food Inspection Authority; Total Quality Halal Correct) e 1 in Gran Bretagna (Halal Food Authority). Essi possono certificare tutti i produttori europei a partire dal 1 ottobre 2009.
Dal giugno 2009 anche l’importazione di latte e derivati – sempre di competenza del Ministero dell’Agricoltura – è stata assoggettata a un sistema autorizzativo a due livelli – simile a quello già in uso per le carni – che prevede la preventiva autorizzazione Paese (“country approval”), seguita dall’autorizzazione della singola unità produttiva (“establishment approval”). Anche per questi prodotti si richiede il certificato halal da enti “approved”.
Dal giugno 2009 anche l’importazione di latte e derivati – sempre di competenza del Ministero dell’Agricoltura – è stata assoggettata a un sistema autorizzativo a due livelli – simile a quello già in uso per le carni – che prevede la preventiva autorizzazione Paese (“country approval”), seguita dall’autorizzazione della singola unità produttiva (“establishment approval”). Anche per questi prodotti si richiede il certificato halal da enti “approved”.
Tutti i prodotti importati devono ottenere un numero di registrazione dall’ente indonesiano BPOM (Food and Drug Monitoring Agency), il cosiddetto “ML number”. I tempi di registrazione possono protrarsi per alcuni mesi, a seguito della più rigorosa applicazione delle attuali normative, soprattutto dopo lo scandalo nel 2008 del latte cinese alla melanina. In caso contrario, il BPOM può direttamente confiscare la merce esposta nei punti vendita, anche se già sdoganata.
Le difficoltà provocate da tali restrizioni sono monitorate in ambito comunitario dalla Delegazione UE a Jakarta, che sta svolgendo vari passi presso il Ministero del Commercio indonesiano e gli altri Ministeri tecnici.
Non si dispone di dati riguardo a contenziosi di ditte italiane o europee afferenti a mancata trasparenza negli appalti pubblici.
SISTEMA TARIFFARIO E ACCORDI DI LIBERO SCAMBIO
Le Dogane indonesiane adottano, per l’applicazione delle tariffe, il Sistema Armonizzato (HS). La tariffa applicata però, dipende dalla provenienza geografica in quanto l’Indonesia è legata da accordi tariffari preferenziali con i Paesi ASEAN (Filippine, Singapore, Vietnam, Thailandia, Malaysia, Myanmar, Laos, Brunei) che prevedono un’aliquota massima del 5% per la maggior parte dei prodotti. A sua volta l’ASEAN ha concluso analoghi accordi multilaterali con Cina, Corea del Sud, India, Australia, Nuova Zelanda. Inoltre l’Indonesia è singolarmente legata a un accordo di libero scambio (IJEPA) con il Giappone. Regimi particolari in esenzione di dazio sono applicati per il traffico di perfezionamento passivo (materie prime e semilavorati destinati a essere trasformati localmente e successivamente riesportati) e altri casi particolari: beni utilizzati per esposizione in Fiere o per attività scientifiche, prodotti da sottoporre ad analisi e perizie, campioni commerciali, attrezzature e materiali per lavori pubblici finanziati dai programmi di aiuto e cooperazione internazionali.
Per vendere sul mercato indonesiano è indispensabile avvalersi di importatori registrati presso la Direzione delle Dogane e quindi in possesso delle relative licenze e numeri di identificazione. Gli importatori sono sottoposti ad un’imposta sul valore importato pari al 2,5% che viene generalmente riversata sull’acquirente finale. Sono previsti diversi tipi di licenze: importatori generici per conto terzi (API), importatori per utilizzo diretto nell’attività propria (API-P) e importatori autorizzati per prodotti che richiedono una qualifica specifica (licenza AT). Si tratta in genere di prodotti per i quali l’Indonesia cerca di proteggere il mercato interno: calzature, abbigliamento, giocattoli, apparecchi elettronici, riso, zucchero, soia, mais, altri prodotti alimentari. L’importazione di macchinari usati è concessa soltanto per utilizzo diretto. Unica eccezione: le attrezzature ospedaliere.
I dazi sono applicati con criteri ad valorem su base CIF (Cost, Insurance, Freight). L’Iva all’importazione è applicata sullo stesso ammontare aumentato del dazio. Le tasse speciali applicate sui prodotti di lusso sono invece al netto dell’IVA. In linea di principio il costo riconosciuto del prodotto in Dogana è quello che emerge dai documenti commerciali incluse commissioni di brokeraggio e costi di movimentazione in Dogana. In alternativa e in caso di contestazione, si fa ricorso agli usuali metodi valutativi: confronto con prodotti analoghi, calcolo analitico ecc. Per le merci provenienti dai Paesi ASEAN o collegati al sistema ASEAN (Cina, Corea del Sud ecc.) e dal Giappone occorre produrre il certificato di origine secondo uno specifico format.
L’Indonesia ha siglato una serie di accordi. In particolare:
- 1992: Area di Libero Scambio ASEAN (ASEAN Free Trade Area - AFTA)
- 2005: ASEAN/ Cina
Il China-Asean Free Trade Area (Cafta) prevede la riduzione dei dazi doganali e delle barriere agli investimenti su oltre il 90% dei prodotti, fermo restando la possibilità di ogni paese coinvolto di stilare una lista di aree sensibili su cui le tariffe doganali continuerebbero eventualmente ad applicarsi.
- 2006: ASEAN/Repubblica di Corea
- 2007: Giappone/Indonesia
L'accordo bilaterale tra Indonesia e Giappone elimina le tariffe su oltre il 90% sui beni nel commercio bilaterale il quale coinvolge molti settori, tra cui quello elettronico, automobilistico, e numerosi beni industriali; l’accordo comprende anche una clausola che obbliga l’Indonesia a rispettare tutti i contratti energetici già esistenti con il Giappone. Nel campo dell'agricoltura, l’Indonesia rimuove le tariffe sulla frutta proveniente dal Giappone mentre alcuni prodotti “sensibili”, come riso, frumento e carne, non sono coperti dall’accordo.
- 2008: ASEAN/ Giappone
- 2010: ASEAN/ India
Dopo sei anni di negoziati, l'accordo ASEAN-India comprende l'abolizione delle barriere tariffarie di oltre il 90 percento dei prodotti tra le due regioni compresi " prodotti speciali" come l'olio di palma (sia crudo che raffinato), caffè, the nero e pepe. Le tariffe su oltre 4000 prodotti saranno eliminati entro il 2016.
- 2010: ASEAN/ Australia/Nuova Zelanda
Sul piano commerciale, l’UE ha realizzato l’iniziativa sugli scambi (Transregional EU-ASEAN Trade Initiative - TREATI) il cui obiettivo è migliorare le relazioni commerciali tra le due regioni attraverso una cooperazione in ambito di regolamentazione sulla facilitazione degli scambi e accesso ai mercati.
DOCUMENTI DI SPEDIZIONE
Oltre alla dichiarazione in dogana (DAU) usualmente richiesta per tutte le spedizioni (salvo all’interno dell’Unione europea), le spedizioni destinate all’Indonesia devono essere accompagnate dai documenti di seguito riportati.
A partire dal 1° gennaio 2007, sono state apportate delle modifiche operative alla compilazione del DAU.
Per ulteriori informazioni consultare il sito: www.agenziadogane.it/.
a) Fattura commerciale
Stabilita, minimo in tre esemplari, deve contenere le menzioni abituali. Dovrà essere redatta in inglese.
b) Certificato di origine
Su richiesta dell’importatore, il documento deve essere fatto sul formulario comunitario e vistato dalla camera di commercio e industria competente.
Le regole relative all’emissione e impiego dei certificati di origine sono precisate nell'Allegato XI.
c) Certificato fitosanitairo
Richiesto per la frutta, i legumi le sementi ed altri vegetali. Per il certificato rivolgersi presso la propria CCIAA. (1)
d) Certificato sanitario
Necessario per le carni. (2)
Riguardo il latte, è importante tener presente che il certificato sanitario comprende un certificato di non contaminazione radioattiva.
e) Certificato Halal
Per l’importazione di carni e prodotti derivati. Ovviamente risulta esclusa la carne di porco, per definizione non halal.Il decreto dispone che il certificato debba essere emesso dal MUI (Majelis Ulama Indonesia, Indonesian Council of Ulama) o da enti stranieri a ciò preposti approvati dal MUI (solo se si tratta di materie prime, in quanto i beni finali destinati alla vendita diretta ai consumatori necessitano in ogni caso del certificato MUI).
Dal giugno 2009 anche l’importazione di latte e derivati è stata assoggettata a un sistema autorizzativo a due livelli – simile a quello già in uso per le carni – che prevede la preventiva autorizzazione Paese (“country approval”), seguita dall’autorizzazione della singola unità produttiva (“establishment approval”). Anche per questi prodotti si richiede il certificato halal da enti “approved”. (3)
f) Certificato di libera vendita dei cosmetici
Sulla base delle indicazioni fornite dall'esportatore, attesta che i prodotti spediti sono conformi alla legislazione italiana in vigore e in libera vendita in Italia. (4)
Il certificato dovrà essere vistato e legalizzato dalla Camera di commercio competente. E' richiesto per la registrazione dei prodotti.
PASSAPORTO E VISTI
a) visto per turismo
L’Indonesia ha adottato un nuovo sistema di “Visa on Arrival”: viene rilasciato un tipo di visto direttamente all’arrivo in aeroporto, valido per 30 giorni al costo di circa 25 USD
b) visto d’affari
La richiesta obbligatoria presso l’Ambasciata di Indonesia a Roma. E’ possibile richiedere un visto multiplo d’affari al costo di circa $ USA 75. I visti ottenuti presso l’Ambasciata possono avere una durata maggiore (sino a 60 giorni) e sono rinnovabili.
SPEDIZIONE TEMPORANEA
TRASPORTO, IMBALLAGGIO, ETICHETTATURA
a) Documenti di trasporto
b) Lista dei colli
c) Assicurazione trasporto
La regolamentazione dell’Indonesia impone che le spedizioni destinate al paese siano assicurate localmente.
d) Trattamento degli imballaggi in legno
Da settembre 2009, gli imballaggi in legno destinati all’Indonesia devono essere trattati (fumigati) e marchiati secondo la normativa ISPM-15 FAO.
Per ulteriori informazioni consultare il sito: https://www.ippc.int/countries/indonesia
e) Etichettatura
Tutti i prodotti alimentari preparati e distribuiti in Indonesia devono avere un’etichetta formulata in lingua bahasa.
Tutti i prodotti alimentari preparati e distribuiti in Indonesia devono avere un’etichetta formulata in lingua bahasa.
ISPEZIONE E CONTROLLO DELLE MERCI
Mantenimento fino al 31 dicembre 2015 delle licenze di importazione e di controllo prima della spedizione per merci come i prodotti agroalimentari, bevande, scarpe, tessili, giochi, prodotti elettronici per i quali è richiesta una licenza speciale ed un controllo di conformità dei prodotti nei paesi di spedizione. Questo controllo in Italia è realizzato dalla SGS, corrispondente della società di controllo indonesiana e dal marzo 2014 la società Cotecna.
Italian Embassy in Jakarta: www.ambjakarta.esteri.it
Agenzia I.C.E. http://www.ice.gov.it/paesi/asia/indonesia/index.htm
Altri indirizzi
Ministry of Trade: www.kemendag.go.id
(1) I certificati fitosanitari, sono rilasciati dal servizio fitosanitario delle Regioni di appartenenza (su richiesta dell'interessato).
Il Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) si avvale di numerosi organismi sia a livello centrale che territoriale per l'espletamento delle attività di vigilanza e controllo in materia di prodotti fitosanitari.
(2) I certificati sanitari per le carni sono rilasciati dalle ASL di appartenenza - Servizio veterinario. Per esportare animali vivi e prodotti da loro ottenuti, alimenti e mangimi, i produttori italiani devono fornire adeguate garanzie igienico-sanitarie alle autorità dei Paesi importatori. Consultare il sito Ministero della salute.
(3) HALAL ITALY AUTHORITY (Ente di Certificazione Halal) è l'Organo UFFICIALE ed UNICO di Certificazione di Qualità Halal in Italia in rappresentanza dell'Autorità Internazionale di Certificazione Islamica, la HALAL INTERNATIONAL AUTHORITY (HIA), è Autorità indipendente riconosciuta dalle Organizzazioni Governative, Organizzazioni non Governative, Associazioni dei Consumatori Halal e dalle Autorità e Rappresentanze Religiose dell'Islam nel mondo. http://www.halalitaly.org/
(4) Per i prodotti cosmetici può essere richiesto sia il certificato di libera vendita, sia l'attestato di libera vendita.
Per il Rilascio Certificati di Libera Vendita (CLV) per esportazione di prodotti Cosmetici in Paesi al di fuori dell'Unione europea (extra UE), vedi sito del Ministero della salute.